Gennaio 2020, primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale. Alle 16 in punto Giò scese le scale, come ogni giorno infrasettimanale, tutta contenta di aver finito le ore tra quelle quattro mura che sapevano di gesso, di dentifricio alla fragola e del profumo che hanno i bambini. Giò sapeva benissimo che all’uscita non avrebbe trovato la sua mamma ad aspettarla, ma la sua babysitter, una giovane che lei trovava un po’ buffa, perché portava degli occhiali neri spessi, più grandi della sua faccia. Spesso Giò si domandava come mai quasi tutti i suoi compagni e le sue compagne avessero le loro mamme ad attenderli in fondo alle scale, mentre a lei questo privilegio era concesso solo ogni tanto, quando la mamma non lavorava. Giò guardò giù, verso il cancello d’uscita, cercando una mano conosciuta pronta ad accoglierla sotto l’ombrello. Un copione che si ripeteva già da qualche mese, da quando aveva iniziato la prima elementare, con qualche sfumatura differente a seconda delle variabili meteo e meteoropatie. Nonostante i nuvoloni, Giò quel giorno era di buon umore: da sotto l’ombrello con i gattini il suo sorriso raggiante illuminava ogni cosa intorno. «Tieni! Guarda cos’ho imparato a scrivere oggi» – con voce tuonante porse un foglietto inumidito alla babysitter, che nel frattempo ricordava i giorni lontani in quella scuola (sono le persone ad abitare i luoghi dei nostri ricordi, pensò la ragazza osservando l’area gioco completamente trasformata dal tempo).
«Ma – sospensione di sorpresa – hai imparato una lettera nuova!»
«Sì! Non vedo l’ora di farlo leggere a mamma!»
«Cosa c’è scritto Giò? Leggilo tu, ormai sei diventata bravissima»
«No, non mi va, non lo so»
Giò voleva custodire gelosamente quel biglietto, a tutti i costi. Non lo avrebbe letto ad alta voce per nessun altro: sarebbe stato un segreto tra lei e la mamma. In ogni caso, sapeva che la babysitter sarebbe riuscita a leggerlo da sola, non le avrebbe fatto un torto. Sul biglietto c’era scritto – in stampatello- «LA MAMMA CUCE».

«Giò, anche i tuoi compagni hanno scritto la stessa frase sul loro foglietto?»
«No. Qualcuno aveva la mamma e qualcuno il papà. Abbiamo già imparato la P.»
«E cos’hanno scritto sul papà?»
«Non lo so, ma il papà fa altre cose, mica cuce. Ho fame! Andiamo al parco a prendere il gelato?»
Come avrebbe fatto a dirle che, non solo non sarebbero andate al parco nel bel mezzo di uno scoscio ininterrotto, ma che ciò che aveva scritto e imparato con tanto entusiasmo quadrava perfettamente a livello grammaticale, a livello logico, ma che non corrispondeva a un dato oggettivo-universale? Vedi, bambina mia, non è sempre vero che la mamma cuce – pensò la ragazza. O, meglio, non è vero che tutte le mamme cuciono, Giò. Può essere quello il motivo per cui, oggi, le mamme che non cuciono (come la tua o come la mia) non ti possono venire a prendere a scuola. Ma tu hai solo sei anni, Giò.
Da quel momento, c’era qualche possibilità (anche se remota) che per Giò l’immagine della Mamma – quella istituzionale, a cui vogliono bene tutti – sarebbe corrisposta a una donna in preda a rammendare un calzino o a fare la maglia. Nessuno, infatti, avrebbe spiegato a Giò la differenza tra il contenitore e il contenuto, tra quelle lettere su cui tanto si era esercitata e l’etichetta che la società ci appiccica sopra. D’altronde Giò era ancora nel periodo dei perché: per ottenere una risposta dai grandi, doveva prima formulare una domanda. Ma quella volta Giò lasciò correre, era troppo affamata per pensare alle mamme-che-cuciono o ai papà-che-fanno-altre-cose. Eppure, era da poco entrata nella fase dei perché più elaborati, non solo per il salto di qualità dei suoi ragionamenti, ma complessi anche per genitori stessi, spesso in difficoltà nel trovare una risposta a metà tra una verità attenuata o una mezza bugia.
Mentre attraversavano la strada, l’occhio della babysitter cadde su quella che era la sua vecchia classe. E vide la piccola sé di quarta elementare chiedere ai suoi genitori: «Oggi a scuola abbiamo fatto “la nascita della Terra”. Ma io non capisco: devo credere alla maestra di scienze o a quella di religione? Ai dinosauri o a Gesù?», che è un po’ come chiedere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Per i genitori della ragazza lì era già scritta la futura carriera universitaria in Filosofia. Stava da poco esercitandosi nei quiz di logica; non che lei amasse i numeri, non era mai stata brava nelle materie scientifiche. Quel fogliettino, però, le aveva fatto pensare a un sillogismo aristotelico (tanto per cambiare).
Nella testa dei bambini, può succedere questo, pensò la ragazza:
Tutte le vere mamme cuciono
Mia mamma è una vera mamma
Mia mamma cuce
Generalizzazione pericolosa, pensò aggrottando la fronte. È un po’ come dire: tutti gli animali volano/l’asino è un animale/l’asino vola.
Questo sillogismo porterebbe a escludere due cose: una mamma che non cuce e, indirettamente, un papà che lo fa – farneticò tra sé e sé. Se si fosse trovata davanti questo caso nei quiz, sicuramente avrebbe pensato: falso!
Giò era stranita dal fatto che la babysitter fosse così pensierosa e avesse concluso così presto il suo interrogatorio giornaliero. Strano. Non le aveva nemmeno chiesto cosa avesse mangiato in mensa, di solito lo faceva per controllare che avesse mangiato abbastanza: «non devi mangiare come un pulcino», le diceva. Lei non sapeva cosa mangiassero i pulcini, sapeva solo che nascevano dall’uovo, piccoli e pelosi. La sua Barbie ne aveva uno, ma non assomigliava a quello vero. Gli stivaletti da pioggia saltellavano nelle pozzanghere, ciaf ciaf, diceva la bambina.
Era così spensierata e felice che la ragazza non osò turbarla con i suoi interrogativi da studentessa universitaria e con le sue conclusioni, senza dubbio meno interessanti in confronto agli schizzi di fango. Giò crescendo avrebbe scoperto da sola che, se alcune mamme non sentono più l’obbligo morale di cucire, è grazie ad altre mamme, ad altre donne che hanno ambito a qualcosa di più della calza a maglia; che, se alcune mamme non possono andare a prendere i figli alle 16 all’uscita da scuola, è perché altre donne, altre mamme, hanno scelto di lavorare, proprio come i papà-che-fanno-altre-cose.
Per te che, quando sarai grande, potrai scegliere se cucire o non farlo, se essere mamma o non esserlo. Col tempo imparerai tutte queste cose, Giò. E così anche la ragazza si mise a saltare nella pozza, cercando di recuperare – un attimo, uno soltanto – la sua perduta ingenuità.